Pasta al forno e pelushi

    In giro per la città mi imbatto spesso in una tipologia di esseri urbani ben definita e circoscritta: i professionisti della creatività. Li riconosco perché si muovono preferibilmente pedalando su una bicicletta di seconda mano o a bordo di califfoni della terza generazione. Generalmente vestiti di scuro (è uno stereotipo soprattutto tra architetti ma va benissimo anche per commercialisti e idraulici perché non solo nasconde lo sporco ma è ideale per chi esce di casa alle 8 del mattino e non sa a che ora rientra) sembrano fumanti bestie da soma con almeno tre tracolle, una per i documenti, una per il portatile e la terza per viveri e t-shirt di ricambio (col rischio che una centrifugata inaspettata faccia indossare pezzi ammuffiti di pizza e mangiare etichette dell’oviesse).
    Eppure ciò che accomuna questi strani nomadi o, per meglio dire, creativi ambulanti, non è il vestiario ma lo sguardo che definirei del corridore in salita. Avete presente quando siete in bici e di fronte c’è una bella salita al 7%? Dietro si accalcano, suonano il clacson e magari ti sfottono pure, ma tu sei lì che arranchi e sai che non puoi mollare perché se ti fermi rischi di tornare in dietro e poi riprendere a pedalare è ancora più dura. Allora stringi i denti, chiudi gli occhi, maledici le ruote sgonfie e la catena cigolante, e tiri dritto, però dentro di te sai che sei al limite, che puoi anche non farcela. Ecco, quando incrocio lo sguardo per un attimo con questi nomadi urbani io ci vedo la voglia di fare, la grinta, l’energia di chi ce la mette tutta ma che è consapevole del rischio di cadere e di farsi male.
    Perché il successo garantito è una chimera nata negli anni ’80, pompata con gli anabolizzanti nei ’90 e sgonfiatasi come soufflé mal cotto nei 2000; perché a essere intelligenti e volenterosi tutt’al più si riceve una pacca sulle spalle; perché a esser precari ci si abitua a ridimensionare tutto il ridimensionabile, bisogni, esigenze, stipendi, sogni e desideri; perché per comunicare con dei genitori nati e cresciuti nell’Italia del boom servirebbe la pianola di incontri ravvicinati del terzo tipo.

    E allora il giovane-non-più-giovane creativo spinge sui pedali, cambia la marcia e si fionda contro vento dal prossimo cliente, o semplicemente a prendere all’asilo il proprio figlio unico (di più non si può che oggi solo gli statali si possono permettere un secondogenito) o al corso di yoga antistress/antipanico/anticellulite/antibrucioridistomaco/antiinsonnia/antiincubi.

    Tocca pedalare, digrignare i denti, far virtù dei pochi mezzi e delle tante idee e magari riunirsi a parlare, guardarsi in faccia, riflettere, scambiarsi idee ed esperienze. Perché se a pedalare insieme non è detto che si vada più lontano però almeno è più divertente.

    Per questo abbiamo deciso di iniziare un percorso, una gita in più tappe per incontrare questi creativoni che abitano e lavorano in città e nei dintorni. Cercando un nome da dare al progetto mi sono ricordato dei personaggi scomodi, emarginati e disperati che Stefano Benni descrive nel suo romanzo Comici spaventati guerrieri. Chi meglio di questi eroi mediocri può raccogliere tutte le qualità – comicità, senso dell’ironia, sguardo scanzonato, volontà da vendere, curiosità ma anche paura – necessarie per affrontare il mondo a viso aperto?

    Complice un invito a pranzo domenicale, abbiamo iniziato il nostro tour da Monica Maggi, mente e artefice di Poco Design, nonchè regina indiscussa dei coloratissimi bento che avete già visto in qualche precedente post (qui e qui).

    Questa è la chiacchierata che abbiamo fatto mentre digerivamo una succulenta pasta al forno e Monica realizzava con ago, filo e bottoni colorati uno dei suoi romantici pelushi.

    ———————————————————————————-

    Prima domanda: Quando hai scoperto che volevi fare quello che fai?
    La primissima primissima volta che ho scoperto quello che volevo fare, creare delle cose con le mani, è stato a quattro anni.

    Quattro anni?
    Sì, perché ho imparato a ricamare prima di scrivere. Mia nonna Guerrina ricamava, e io imparavo da lei. La guardavo. Il mio primo ricamo l’ho fatto a quattro anni. Per quanto riguarda la cucina, cucinare mi è sempre piaciuto, però un anno e mezzo fa, per essere precisi a novembre di un anno fa, mi è capitato per caso di fare una mostra di fotografie e di cose da mangiare, sui miei bento, e da allora molte persone hanno iniziato a chiedere se lo facevo a pagamento e così ho iniziato a fare degli eventi, piccoli catering, cose da mangiare e oggetti per altri. Ho pensato: mi è sempre piaciuto farlo per me e i miei amici, perché non farlo anche per gli altri?

    Ma in pratica cosa fai?
    A parte il mio lavoro ufficiale top secret, che è cercare di fare l’architetto e il grafico…

    Pensavo che il tuo lavoro top secret fosse la spia del KGB…
    A parte il mio super lavoro segreto, che è super segreto perché in realtà non lo sa nessuno, cioè a voi non capita mai che magari in famiglia tra i parenti vi fanno: “AH! che fai, fai l’architetto? E quindi se ti chiamo per fare un progetto, lo faresti?” “Certo, no?!?, faccio l’architetto…” Tornando a ciò che faccio… a me piacciono le cose molto manuali o molto digitali, mi piace cucinare e preparare cose per altri, preparare dolcetti, torte, pasta al forno (ndr. come quella che ci siamo pappati prima, a proposito ci dai la ricetta?), salatini, cose buone da mangiare… e poi anche creare piccole cose con ago e filo – spille, pupazzi, borse.

    Che esperienze hai fatto prima di metterti in proprio?
    Ho fatto, e faccio tuttora, l’architetto e il grafico.

    Che tipo di formazione hai avuto e pensi sia stata utile?
    Innanzitutto sono ragioniera, dopodiché sono diventata architetto, dopodiché ho avuto la malsana idea di fare un dottorato. Mi è stato utile? Sì, non in maniera diretta, però sì, penso che l’atteggiamento che ho di fronte alle cose è fondamentalmente progettuale, non di casualità, sia quando preparo le cose di cucina o comunque per gli eventi – il modo di disporre il cibo –, sia quando invento e realizzo i miei oggetti. Anzi, devo dire che da certi punti di vista, la mia formazione è più utile in questo lavoro piuttosto che in quello super top secret da architetto. Alla fine l’università non ti prepara per il mondo reale del lavoro. Non sei pronto per entrare in un cantiere, non sei pronto per fare un progetto davvero, però ti dà un attitudine, un abito mentale.

    Qual è il progetto a cui tieni di più?
    In realtà, ogni volta, quello che faccio è ciò a cui tengo di più. Quello del momento, anche perché non faccio cose standardizzate. Se devo scegliere qualcosa di cui sono particolarmente fiera, allora si tratta della mia prima torta nuziale, perché era buona e bella. E poi sono sempre molto fiera dei miei pelushi.

    Il primo progetto che hai fatto per un cliente, insomma la cosa che ti ha fatto capire che quello che facevi poteva realmente diventare un lavoro?

    Per quanto riguarda la cucina, la mostra dei bento alla Microgalleria. Anche se quello non era propriamente un lavoro, dall’interesse che ha suscitato ho capito che poteva diventarlo.

    Quando hai bisogno, dove cerchi l’ispirazione?
    Spesso l’ispirazione arriva proprio quando non la cerco, può essere una cosa che leggo piuttosto che una fotografia o un progetto.

    Consiglia almeno un sito.
    ffffound

    Una rivista?
    Wallpaper

    Un libro?
    Alice nel paese delle meraviglie

    Un programma tv?
    “La prova del cuoco” (ah! ah! ah!) anzi no “Chef per un giorno” (quanto vorrei essere invitata!!!)

    Un film?
    Aspetta, non ricordo il nome… quello in cui uno si trova a vivere in un racconto… e c’è Dustin Hoffmann…

    Tootsie?
    Ma noooo!!! Ora mi ricordo, si chiama Stranger than fiction.

    Città?
    Roma.

    Quali sono le qualità che servono per fare questo lavoro? Quelle che pensi di avere e quelle che vorresti avere.
    Che ho: pazienza e manualità. Che non ho: maggiore capacità organizzativa e senso degli affari.

    Cosa ti piacerebbe trovare nel tuo futuro?
    Mi piacerebbe avere un luogo che sia una via di mezzo tra un laboratorio, un atelier, un negozio… un po’ come ce ne sono in Germania e che in Italia sono ancora rari. E un fidanzato nuovo.

    Qual è la tua maggior preoccupazione per il tuo futuro?
    Forse che il progetto in cui sto investendo così tanto possa fallire o fermarsi all’improvviso.

    Fai il nome di tuoi colleghi o amici che vale la pena di conoscere, e magari presentaceli.
    Ilaria e Sara Patriarca, Nanette Foehr, Silvia Settepanella, Betta e Dario di Arago Design e Emanuela Cavallaro.

    Le foto sono di Pippo Marino

    Vai allo slideshow su Flickr


    84 thoughts on “Pasta al forno e pelushi

    1. bellissimo il nuovo progetto editoriale, toccante l’intervista (brava monica!), sempre super le foto.
      che dire? a quando il passaggio alla professione?
      qualuque essa sia, troppo bravi per fare solo i “diiettanti”.ast rivista on line allegata a tutti i bollettini dell’architetto d’italia (service a la carte, ovvio ;-))!

    2. complimenti a tutti e tre per la composizione dell’articolo, molto poetico e esilarante come solo Rem sa fare. Le foto lo completano magicamente, hanno quell’aria da Amelie… E poi alla carissima mm un grande in bocca al lupo, BRAVA!

    3. grazie a tutti per i bei commenti (anche a te alvar, sono d’accordo: tutti nudiiii).
      Spero che questo racconto faccia venire a tutti la voglia di investire un po’ del proprio tempo in un progetto personale, qualcosa che finora è rimasto nel cassetto e aspetta quella spinta giusta per essere messo in pratica.
      A tutti: se conoscete qualcuno o voi stessi avete cose da farci vedere e storie da raccontare noi siamo pronti a venire.

    4. grazie per l’idea, per l’onore di fare per prima, per le parole, per le foto meravigliose (anche quella del calcagno perennemente disidratato) e per i commenti fino a qua.

      RICETTA delle lasagne improvvisate della domenica (con quel che c’era in frigo)
      ingredienti per tre architetti senza tetto (più una porzione riscaldata la sera dopo) oppure per 4/6 persone a seconda del regime alimentare adottato.

      per la sfoglia:
      300 gr circa di farina 00
      2 uova
      un po’ d’acqua (perché di uova ce ne volevano tre)

      per il sugo (in ordine di apparizione nella pentola a sobbollire piano piano):
      una mezza confezione di pancetta affumicata sbucata dal fondo del congelatore
      un avanzo di gambetto di prosciutto crudo a cubetti
      un barattolo di pomodorini di collina (privati delle bucce)
      un barattolo di sugo pronto ma artigianale all’arrabbiata trafugato da un cesto di natale genitoriale

      ed inoltre:
      una quantità imprecisata di besciamella precedentemente creata per un evento di poco design ibridata con un po’ di crescenza allo yogurt
      una mozzarella
      qualche cucchiaiata di parmigiano reggiano grattugiato (o era grana?)

      procedere in maniera tradizionale nella preparazione della sfoglia (cioè dietro istruzioni di fiorisa): farina a fontana sulla tavola. rompere le uova nel mezzo. mescolare prima con una forchetta incorporando a mano a mano la farina verso il centro. aggiungere l’acqua se serve (se c’e’ quell’uovo in più meglio di no) fino a quando si può impastare a mano. impastare con vigore fino a che l’impasto è liscio e sodo e il tunnel carpale comincia a gridare vendetta. lasciare riposare per almeno un quarto d’ora sotto a una ciotola. intanto fare il sugo. mentre sobbolle il sugo, stendere la sfoglia sottile a piacimento. tagliare grossi ritagli a forma di quadrilateri irregolari e triangoli scaleni. cuocerli a gruppi di 3 o 4 in acqua bollente, abbondante e salata. scolare e tuffare in acqua fredda per fermare la cottura. asciugare su uno strofinaccio pulito (!). cominciare a comporre per strati le lasagne nel seguente rigoroso ordine in una teglia unta: sfoglia + cucchiaiate di sugo + pezzetti di mozzarella + ciuffi di besciamella + nevicata di parmigiano, e via da capo fino a esaurimento scorte come i saldi di fine stagione. infornare a 200°C per una ventina di minuti e comunque fino a che la besciamella e il parmigiano dello strato finale diventano proprio quel colore lì dorato che hanno le lasagne pronte da mangiare. GNAM.

      1. A questo punto io proporrei anche una bella rubrica gastronomica :) Ho giusto la ricetta della besciamella della mia nonna umbra che mi tocca fare ad ogni lasagna perchè “no, vabbè, che comprare, falla tu!” :) Rem potrebbe pubblicare i suoi fusilli scamorza e melanzane (ancora me la ricordo quella mitica pasta!!!) e Massimiliano il suo pane di Altamura farcito con rape stufate e salsiccia (e anche quello rimarrà nella storia!).

        PS: Ma quante foto avete pubblicato? io ne vedo solo una :(

        1. E’ un problema di explorer 8 che non supporta css3

          usando l’aggiornamento di windows update quello denominato “aggiornamento compatibilità per explorer 8…” si visualizzano tutte le immagini, anche se formattate in maniera strana

        1. ciao monica! ancora complimenti.. io ultimamente bazzico poco per l’uni e non ti becco mai. Cmq martedi dovrei andarci per un esame: mi porto la stampa nella speranza di trovarti allora!

          p.s: …ma almeno ti piace? :)
          p.p.s. posso commissionarti un idea per 1 cosa pelushooosa? :D

    5. cavolo non vedevo l’ora che si parlasse anche di cucina -lavorar tra pentole e formelli non è forse anch’esso un processo altamente creativo?- e poi l’orso verde è proprio bello assai e qua, che di orsitudine ci se n’intende non poco, non si poteva che apprezzare; complimenti

      1. l’orsetto fa tenerezza solo a guardarlo, e poi vedere mentre prende forma lo rende ancora più bello.
        Altro che winxs!

    6. Mi unisco ai complimentanti!
      Stupende creazioni, stupenda intervista, stupende foto!
      Mi ha fatto venire voglia di iniziare il sempre pensatomamaisviluppato progetto 365 photo project on flickr.
      Essì che anche quando presentaste le “CODE” di balena, mi era ritornata la voglia di fare qualcosa di creativo. (poi però mi son scordato)

      Quindi concordo con ele! Ast rivista on line!

      1. il 365 photo project è una cosa impegnativa, eh; io ho partecipato a un 52 photo project worldwide, è partito bene ma poi, purtroppo, è andato in vacca, per dire, ha abbanodanto anche chi aveva organizzato, son stato il solo a arrivare in fondo

          1. era un tumblr in cui si postavano tre fotografie a testa di un posto diverso ogni settimana, alla partenza eravamo in una cinquantina, poi qualcuno non ha nemmeno iniziato, dopo qualche settimana eravam già meno della metà, ad estate inoltrata eravamo in sedici, a dicembre… beh a dicembre son rimasto solo io, adesso il tumblr non c’è neanche più, è rimasto però il gruppo su Flickr (se a qualcuno interessa l’indirizzo è; http://www.flickr.com/groups/52locations/pool/)
            qua si aspettano le ricette, eh
            :)

                1. concordo! bisognerebbe darti un premio per le migliori variazioni sul tema del nickname.
                  Ma poi, qual è il posto che hai fotografato per 52 settimane di seguito?

                  1. mark ain’t onion non è opera mia, è una creazione di un amico; i posti che fotografavo erano a propria discrezione quindi ho fatto foto a Crema e quando mi capitava di andare in giro coglievo l’occasione per aggiungere altre zone poco conosciute; ero l’unico partecipante italiano e nel tumblr avevo tirato su anche diversi apprezzamenti, non certo per la qualità delle foto, quanto per i luoghi -però qua in Italia noi giochiamo facile, eh-

    7. sapere che qualcuno in italia sa fare qualcosa è di grande conforto in questi giorni. forse la pacca sulla spalla serve a un c***o, ma preferisco quella alle palpatine sul culo accompagnate dai biglietti da 500. viva chi sa fare e sa fare bene. viva chi ne parla. viva chi mette la passione nelle cose. viva e non sopravviva… ma per questo dovrebbero davvero cambiare molte molte molte cose…

      1. hai ragione denise.
        però sono convinta che dobbiamo iniziare noi a farle cambiare, e per primissimo dovremmo probabilmente cambiare un po’ noi. ognuno in fondo sa come.
        buon cambiamento a tutti!! :-)

              1. per non parlare del fatto che ha chiamato Zucconi “Zirconi” e per pararsi ha detto che se uno non si ricorda i nomi è colpa di chi non riesce a farsi ricordare, cioè se non mi ricordo come ti chiami è colpa tua mica mia che ho una prugna secca al posto del cervello… che italia…

      1. ciao Carmelo-Cesare (qualcosa di più breve? un diminutivo?),
        ti ringrazio per la segnalazione, troppo gentile, arrossiamo in trio.
        :-)

    8. quoto Tzugumi…sono sempre più fiera di essere una knitter e crafter in genere :) e soprattutto quanto è vero quello che leggo nell’intervista e cioè che mi piacciono le cose molto manuali o molto digitali!!!

    9. introduzione realisticamente esilarante (è vero che servirebbe la pianola!!!) e bella intervista. bravissimi

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