Leggo su una rivista online locale del blitz dei vigili per allontanare alcuni senzatetto dai loro ricoveri provvisori posti dentro locali abbandonati.
A parte i toni, sembra quasi che si sia svolta una pericolosissima impresa contro pericolosissimi malviventi superricercati da tutte le polizie del mondo, mi hanno colpito le foto degli interni.
Stanze sporche e incasinate, letti di fortuna, scatoloni, anche un cane, legato alla gamba di un letto, che guarda attonito verso il fotografo. Sono vite provvisorie, fatte di povertà, malattia, sofferenza, storie che non conosciamo ma che possiamo intuire, percorsi interrotti e dolorosi che sono approdati nella città in cerca di un rifugio. Ecco, forse ci dimentichiamo che chi non ha niente, nemmeno un minimo posto nella società cosiddetta civile, ha però le stesse esigenze di tutti, a partire dall’avere un tetto sotto cui dormire, dei bagni dove lavarsi, una cucina dove preparare dei pasti. Chi non ha la possibilità che alternative ha? La nostra città come risponde a queste domande? Basta l’iniziativa delle associazioni religiose e laiche?
Quello che non dice l’articolo è che fine hanno fatto questi senzatetto. Una volta che sono stati identificati e curati, no sappiamo che cosa faranno.
Come architetti, come persone che in vari modi lavorano in questo ambito, ci troviamo di fronte a questo paradosso: esiste una richiesta di spazi abitativi minimi, chiamiamoli d’emergenza sociale a cui nessuno da una risposta, dall’altro spazi abbandonati, locali dismessi, vecchie fabbriche in rovina, che stanno proprio nel centro della città e che rimangono inutilizzati per lassismo, incapacità, mancanza di una visione, spirito di condivisione di amministratori e proprietari.
Di fronte a questo sbilanciamento, spazi inutilizzati e abbandonati, e richiesta di rifugi minimi, penso che le pratiche di occupazione abusiva diventino non solo comprensibili, ma addirittura auspicabili, almeno come segnali eclatanti di un malessere, crescente, a cui prima o poi dovremo dare delle risposte.
A questo propostito, mi viene in mente il padiglione olandese all’ultima biennale di Venezia, il cui tema era proprio il riuso degli spazi abbandonati o inutilizzati. Vacant NL, Where Architecture Meets Ideas, metteva in evidenza tutti questi spazi sollevandoli al di sopra degli osservatori, come nuvole azzurre sospese nell’aria, eppure presenti materialmente nella loro assenza di uso. Le Idee che gli olandesi vorrebbero far incontrare con l’architettura sono quelle legate all’arte, alla creatività imprenditoriale, all’artigianato, cose bellissime che ci fanno sognare di come con quello che già c’è, se inserito in una prospettiva di sviluppo culturale e di imprenditoria innovativa, possa valorizzare menti assopite e sostanze sclerotizzate.
Sarebbe interessante fare un progetto del genere anche a Pescara, magari in ogni città, dove di menti assopite e sostanze sclerotizzate ne abbiamo a bizzeffe, roba da esportarne in tutto il mondo.
oltre a “spazi abbandonati, locali dismessi, vecchie fabbriche in rovina” non dimentichiamo i milioni di metri cubi di nuovissime palazzine realizzate per “ripulire” capitali di dubbia provenienza e lasciate vuote per anni…
hai ragione, in questo senso Pescara è diventata negli ultimi anni una vera banca svizzera per certe mafie.