Marco Rodomonti

Lia ci guida fino a un piccolo borgo subito a nord di Teramo. Ci sono poche case arroccate sulla collina e fuori l’aria è così fredda che sembra provenire dalle montagne vicine. La casa di Marco Rodomonti ha una lunga storia: è la somma di diverse costruzioni di epoche diverse e, prima di diventare un’abitazione privata, è stata anche un convento di suore. Dentro è un vero labirinto su diversi livelli. Al piano terra si accede alla cantina, un vero antro preistorico, in cui Marco dipinge e lavora il ferro. Facciamo alcuni gradini e siamo in un altro ambiente dove troviamo un’altra postazione di lavoro questa volta dedicata alla lavorazione dei metalli. Saliamo e raggiungiamo la stanza più elevata e soleggiata dove, invece, si trova il laboratorio di trasformazione del vetro. Il fatto di avere così tanto spazio permette al nostro ospite di gestire con agio i diversi tipi di ricerche che conduce, studi che spaziano dalla pittura, alle installazioni sonore al recupero di oggetti abbandonati. Marco è alla continua ricerca di nuove tecniche, nuovi strumenti e processi che gli permettano di trasformare materiali scartati dal ciclo dell’uso in nuovi oggetti. In questa ricerca è autodidatta, sperimenta in continuazione e realizza da solo gli strumenti e gli attrezzi del suo laboratorio, come il piatto rotante che usa per tagliare il vetro ricavato da un vecchio giradischi. Con lui parliamo della sua passione per l’arte, dell’impegno etico che si traduce in attenzione al riciclo, dell’insegnamento artistico  rivolto a persone con handicap mentali, del senso di una vita passata nel raffinare un percorso artistico che è al contempo etico e sociale.
A chiudere il nostro incontro e a testimoniare la sempre calorosa accoglienza degli amici teramani, il pranzo consumato davanti a un bel camino acceso: tagliatelle rustiche, impastate e tagliate a mano da Marco, condite con un robusto e gustoso sugo di salsiccia fatto da Cristina, l’immancabile focaccia ai cereali di Lia e per finire una bella fetta di torta al cioccolato.

 

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Basta una rapida occhiata alla tua casa per capire che hai interessi in moltissimi campi, ce ne vuoi parlare?

Diciamo che principalmente mi occupo di pittura. Ho sempre dipinto, fin da quando avevo vent’anni, è la mia passione più grande, ma l’arte in genere mi interessa. Inoltre, porto avanti una ricerca che riguarda il riciclo, un dovere etico che mi ha spinto ad approfondire le varie possibilità di riciclo del vetro principalmente, ma anche della latta. Ho trascorso anni a mettere a punto una tecnica che mi permettesse di sezionare le bottiglie, devo dire di esserci riuscito.

 

Oltre alla pittura ci sono anche altre espressioni artistiche che sperimenti?

Parallelamente, quasi per gioco, una decina di anni fa mi sono ritrovato a costruire oggetti sonori con il ferro, le chiamo sculture sonore, oggetti semoventi che producono suoni amplificati con dei sensori, molto suggestive.
Per me pittura e installazioni sono un’unica cosa. Le installazioni con i suoni sono legate alla pittura con cui ho iniziato, la pittura informale: mi interessava molto il rapporto tra musica e pittura, penso alle ricerche di Kandinsky, anche se lui lo faceva con spirito scientifico mentre per me la pittura è una conseguenza naturale delle emozioni, degli stati d’animo.
All’inizio passavo molto tempo su una tela, poi ho iniziato a dipingere molto rapidamente e istintivamente, i grandi acquerelli che si vedono qui in casa nascono proprio così. Per me la pittura è fondamentalmente uno sfogo, violento e immediato, anche se ultimamente sto sperimentando una diversa attitudine: mi piace lavorare sul disegno, sulla prospettiva, le luci e le ombre. Contemporaneamente all’informale ho sempre fatto ritratti – il figurativo mi ha sempre interessato – e, casualmente, da qualche mese ho iniziato un nuovo filone di ricerca dominato da figure umane stilizzate, un discorso che tenta di indagare la condizione spirituale dell’umanità. Uomini senza testa per la maggior parte che vagano in paesaggi deserti, oppure, sparse qua e là, persone con un collo lunghissimo, con la testa nel cielo, fra le stelle. È un soggetto che mi affascina, in quest’ultimo periodo non riesco a dipingere nient’altro.

 

Quando hai capito che la pittura era la tua strada?

Da ragazzino ero un gran sognatore, credevo nell’arte come all’unico strumento di rivoluzione, credevo nel successo. Avevo una passione così grande da credere che mi sarebbero state aperte tutte le strade. Pensavo fosse solo una questione di tempo, di dover aspettare per raggiungere una certa maturità e, per questo, ho sempre lavorato sulla qualità del metodo. Ora mi sono reso conto che è difficile emergere.

 

Che scuola hai fatto?

Ho fatto il liceo artistico e poi l’Accademia di belle arti, di cui due anni a Bologna e due a Roma.

 

L’esperienza dell’accademia è stata importante?

Importante perchè sono anni in cui puoi dedicarti completamente all’arte, però ti instillano in testa degli schemi dai quali, poi, è difficilissimo uscire.
Trovo ridicoli e inutili gli schemi, tutte le etichette. Quando l’ho capito sono entrato in crisi perché mi sono reso conto quanto difficile fosse conciliare la pittura informale con il figurativo, non sapevo cosa fare…ma sentivo che ambedue i linguaggi mi appartenevano, ricordo che feci una mostra in un chiostro a Teramo in cui esposi tele figurative e tele informali perché mi sembrava giusto mostrare sinceramente, e nel suo insieme, la complessità di una persona. Mha! Forse ho sbagliato nel fare mostre a Teramo. L’arte per me è stata una condanna.

 

Perché una condanna?

Perché arte significa non accettare compromessi, è una pratica mentale che ti invita ad avere rigore e purezza. Per fare pittura, per fare cose che abbiano forza, per prima cosa devi essere tu puro, dico puro per quanto riguarda i contenuti, devi avere un profondo desiderio di espressione. Se non sei integro c’è poco da approfondire… Forse, ho sacrificato troppo all’arte immaginando che nel tempo la qualità di intenti, la freschezza del messaggio sarebbero arrivati a tutti. Verità è bellezza, l’ho sempre pensato.
Sento di essere una persona sincera, e questo fatto mi è costato molto. Non ho mai mediato il mio linguaggio per motivi politici, economici, o peggio ancora stilistici, al contrario, spesso ho usato la mia arte per dire apertamente ciò che pensavo. Per questo dico che l’arte è stata una condanna, ha sicuramente influito sulle situazioni drammatiche della mia vita.

 

Pensi ancora che l’arte sia la tua condanna?

Ormai l’ho accettato. Ho avuto anche tantissime soddisfazioni, e continuo ad averle, ma è come essere un giornalista che scrive e scrive articoli che nessuno poi legge: alla fine rischi di inaridirti. Sento di trovarmi in una specie di vicolo cieco, troppo tardi per cambiare strada.

 

Quando hai iniziato, penso al liceo artistico, la tua famiglia ti ha supportato?

La mia famiglia non capiva quello che facevo, ma nemmeno mi ostacolava. Ero molto determinato in quello che volevo fare e loro l’hanno accettato. Da ragazzo, fino ai 20 anni, non ho fatto altro che disegnare e sporcare tele e così anche all’accademia.
Contemporaneamente alla pittura mi sono interessato di artigianato: quando ho comprato la saldatrice è stato un colpo di fulmine. Ho iniziato a fare oggetti di metallo che si vendevano anche bene.

 

In questo lavoro, così come nelle tue esperienze di restauro, hai messo a frutto quanto imparato in accademia?

In accademia non si lavorava molto, a Bologna era tutto molto concettuale. Avevo un professore di riferimento, D’Agostino, con cui andavamo giusto a bere un bicchiere di vino alla cantina. È stato bello anche perché mi ha lasciato molto libero. Era un suprematista, roba bianco su bianco alla Malevic, non diceva mai niente, e io lo ringrazio per questo. Questa manualità, se vogliamo questa voglia di giocare con la materia, mi è sempre appartenuta, non deriva dagli studi.

 

Tra le tante cose che hai fatto c’è qualcosa a cui tieni in modo particolare?

L’anno scorso ho tenuto un laboratorio d’arte per persone con problemi psichiatrici: è stato fantastico! Hanno fatto dei lavori bellissimi – il tema era la natura morta – con una grande mostra finale. Per me, quelle due ore a settimana sono state sempre bellissime.
Parlando, invece, di mie opere, sono molto soddisfatto delle installazioni sonore. Ne ho fatte diverse in questi ultimi anni, con il vetro, il ferro. Trovo sempre molto interessante l’interazione con il pubblico.

 

Quando hai bisogno di ispirazione cosa fai?

La mia è una costante ricerca, non ha bisogno di ispirazione. Per la pittura spesso sono le cose che accadono, sia nel privato che nella vita pubblica, che mi spingono ad esternare. Quando dipingo mi piace improvvisare: non mi do nemmeno il tempo di pensare a dove mettere il pennello, cosa raffigurare, mi piace partire dal nulla. È un metodo che ho affinato per cercare di non essere falso o artificioso. A volte, le idee, le tensioni si accumulano per giorni finché mi ritrovo a dipingere senza nemmeno sapere perché.

 

Per conoscere meglio i tuoi gusti, hai siti web che ti piace consultare?

Consultare non è la parola giusta…sono appassionato di arte, mi piace il design, soprattutto quando si lega al riciclo, curioso continuamente, c’è tanta gente in gamba che lavora in giro per il mondo.

 

Riviste?

No, non compro riviste se mi capitano tra le mani do un’occhiata – Tema celeste, Flash art – ma non mi interessa molto, certe riviste mi fanno innervosire perché, certo, salvo rari casi, gli artisti che vi figurano pagano per esserci, non solo, anche i critici sono pagati per scrivere idiozie, tutto falso. La nostra cultura è in mano a gente che ha trasformato l’arte in vuoto estetismo – penso ad Achille Bonito Oliva, a Sgarbi –. L’arte è altro, soprattutto in un periodo come questo in cui ci sarebbe tanto bisogno di dare voce a persone che dicono qualcosa. Sono nauseato dalla schiera di critici che amministrano il mondo dell’arte, arredatori, nient’altro. Bisognerebbe iniziare a criticare i critici, dato che da loro dipende l’emersione di questo o di quel tipo di discorso. C’è volontà politica in tutto questo e mi rattrista, soprattutto la confusione che si genera nelle nuove generazioni. Certo, l’arte si fa interprete dei problemi sociali e, da questo, il vuoto. Non so, non vedo energia, vita, solo oggetti di arredamento, semplici virtuosismi. C’è bisogno di persone vere, altro che bei quadretti.

 

Libri?

Ho letto tanti saggi, Hermann Hesse, Sartre, Nietzsche, August Strindberg, Kandiskij… inoltre, ho una passione per le autobiografie degli artisti. Mi piacciono molto John Fante, Bukowsky soprattutto per la loro scrittura. Leggo molti manuali di chimica, fisica: ci capisco poco ma mi affascinano tantissimo.

 

Film?

Ne guardo tanti, ma non ho dei preferiti. Mi piace Woody Allen, Jack Nicholson come attore, ma anche tanti altri…Troisi, Totò

 

La città in cui vivresti?

È bello vivere dappertutto. Potendo scegliere, mi piacerebbe vivere in campagna o in montagna, ma a quanto pare, non riesco ancora a farlo.

 

Musica?

Un po’ di tutto, soprattutto Chet Baker – ho anche una tromba che sto imparando a suonare – Brian Eno, De Andrè, soprattutto le ultime cose, Branduardi, classica… ascolto di tutto.

 

Arte?

Mi piace tantissimo Pollock, per la sua energia. Kandinskij, invece, mi ha sempre affascinato per il rapporto tra colore e musica. Mi piace l’arte povera, mi piacciono gli artisti che fanno ricerca pura. Mi piacciono tutti i grandi artisti, ogni artista è una persona che nel bene e nel male esprime se stessa, non penso di avere gusti particolari oltre al fatto di riconoscere gli artisti a cui mi sento più vicino.  Verità è bellezza, vi ho sempre creduto… Amo la qualità del linguaggio, lo spessore. Amo la potenza della passione estrema che rende le opere uniche.

 

Per fare il tuo lavoro, quali sono le qualità importanti da possedere?

La cosa più importante è la pazienza, soprattutto nell’aspettare i risultati. Poi, è necessario crederci, credere che quello che hai da dire sia così importante da valere la pena di essere guardato e apprezzato. In definitiva direi perseveranza e fiducia in se stessi. Purtroppo, come si dice, anche la pazienza ha un limite, lo sto scoprendo in questi ultimi anni.

 

Una qualità che non hai e che vorresti maturare?

Vorrei saper promuovere meglio me stesso, saper propormi agli altri, forse anche saper recitare di fronte agli altri. Vorrei potermi mettere una maschera, essere freddo nei confronti di ciò che faccio, come se fossi un rappresentante, un semplice venditore.

 

Cosa ti piacerebbe fare in futuro?

Il mio sogno è creare un laboratorio di riciclo, un centro di ricerca sulle possibilità di riciclare e creare nuovi oggetti. Più che un laboratorio, una scuola in cui sperimentare il riuso, insegnare, collaborare con altri, scambiare idee.

 

Invece, una preoccupazione?

La mia preoccupazione maggiore è legata all’economia. Vorrei poter lavorare con tranquillità e serenità.

 

Ci fai i nomi di persone che ti piacerebbe far conoscere?

Massimo Piunti, un artista pieno di interessi, di lui mi piace la grande passione per la terra. Jorg Grunert, un artista tedesco, uno scultore,  vive a Spoltore, vicino Pescara. Sergio Florà, lo apprezzo per la sua semplicità  e spontaneità. Mi piace  Ezio Centini un  cioccolatiere performer, creatore di eventi legati al gusto. Poi, mi piace molto il lavoro di alcune persone che avete già conosciuto come Giustino di Gregorio, Lia Cavo e tanti altri.

 

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foto di Pippo Marino

LINKS:

marcorodomonti.tumblr.com


20 thoughts on “Marco Rodomonti

  1. REM,
    ho incorniciato questa frase: «ma è come essere un giornalista che scrive e scrive articoli che nessuno poi legge: alla fine rischi di inaridirti. Sento di trovarmi in una specie di vicolo cieco, troppo tardi per cambiare strada».

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    1. anche a me ha colpito quella frase lì, l’ho interpretata anche alla luce di quello che tanti fanno, ogni giorno, qua in rete;
      poi mi sembra essenziale questo passaggio (indubbiamente collegato alla frase precedente): “…è necessario crederci, credere che quello che hai da dire sia così importante da valere la pena di essere guardato e apprezzato. In definitiva direi perseveranza e fiducia in se stessi…”

          1. Rem,
            perché non provi a leggere i tuoi incontri senza quel cappello finale da pomeriggio televisivo?
            Prova, prova, scoprirai la bellezza delle sole domande curiose e reali.

            Solo un consiglio, e poi non fare le pernacchie ti possono sentire.

            Buone cose,
            Salvatore D’Agostino

            1. mi viene da ridere perché quando arrivo a quelle domande sono sempre super-imbarazzato e quasi sempre chiedo scusa.
              Io lo chiamo il momento “dariabignardi”.
              però, dai, servono un po’ a sdrammatizzare…

              1. Rem,
                no, no, non servono a niente.
                Spesso rovinano la lettura.
                Io, ad esempio, m’incazzo.
                Perché arrivano dopo alcune risposte spesso personali e sincere, dette con leggerezza.
                Detto tra noi, io di questi radical chic (ma da dove viene questo termine?) ‘moralisti’, ‘perbenisti’, ‘elegantini ma non troppo’ tipo Daria Bignardi o suo marito Luca Sofri mi sono stancato.
                Quindi, prova a farne a meno e prosegui senza domande ‘fisse’.
                Magari chiedi del libro che hanno sul tavolo, della rivista non aperta, dell’articolo stampato da internet e così via.
                Prova.

                S

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