La stanza dei conigli
La stanza che ospita le interviste che Hans Ulrich Obrist ha fatto ai partecipanti della Biennale alla fine per me è stata una semplice parentesi tra le ben più efficaci installazioni che la precedono e seguono.
Così come l’nstallazione della Cardiff, anche questa sviluppa un “format” ben collaudato e che ormai sembra caratterizzare l’opera di Obrist, ovvero realizzare banali e pallosissime interviste senza nè capo nè coda. Non so se vi è capitato di seguire una delle interviste di Obrist, ma è un’esperienza per la quale o si è fortemente motivati (tipo uncini fermapalpebre alla Arancia meccanica) oppure non si va oltre i primi 3 secondi. Le domande di Obrist, dal forte accento teutonico, sembrano stizzite e superficiali, quasi fosse un interrogatorio dei carabinieri per lo smarrimento della patente.
Sentirle direttamente lì alla biennale è folle, soprattutto quando sai che hai ancora tutti i padiglioni ai giardini che ti aspettano e con quello che costa un biglietto non puoi perdere nemmeno un secondo, figuriamoci fermarti davanti a uno schermo con delle cuffie antiigieniche per sentire il racconto sonnolento dell’intervistato di turno.
La sala è divertente solo per la presenza delle sedie della Sejima, ‘nextmaruni chairs‘, che ricordano tante orecchie di conigli e rendono allegro un ambiente che, con tutti quei nomi scritti sulla parete, ricorda un funereo memorial. L’aspetto lugubre è dato poi anche dal silenzio che c’è e dalle facce degli intervistati che sembrano parlare dall’oltretomba.
Per chi volesse sentire le interviste (consigliato ai masochisti) c’è sempre la possibilità di ascoltarle sul canale YT della biennale.