Brillante, ironica e tristissima descrizione dello stato dell’arte nel mondo della progettazione culturale a firma di Guido Guerzoni.
Tanti i punti di contatto riscontrabili tra il lavoro del progettista architettonico e quello culturale (a partire dalla inesistente considerazione che si traduce immancabilmente nella inesistente remunerazione).
C’è però un errore nel ragionamento di Guerzoni, qualcosa che qualsiasi architetto (dal neolaureato a Renzo Piano) può confermare: tutti, ma proprio tutti, non solo si sognano ma affermano con forza la propria opinione-verità, dal chiodo all’hub aereoportuale, come un dovere imprescindibile conferito da Dio all’umana, e non, esistenza (ché anche i cani e le galline se potessero articolare termini quali “lavanderia” e “etnico” lo farebbero).
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Non meno delicata è la situazione della committenza, pubblica e privata. Un progetto non è un capriccio: ha bisogno di committenti consapevoli, esigenti e risoluti. Purtroppo, dopo le scienze della Formazione (s’intende calcistiche: moduli pitagorici, schemi difensivi e percentuali di realizzazione), la progettazione culturale è il campo disciplinare in cui l’Italia vanta la maggior concentrazione mondiale di cultori della materia. Dilettanti lenti nel premettere che di contenuti espositivi o palinsesti teatrali non si sono mai occupati in vita loro, ma lestissimi nell’ammollare gragnuole di consigli, suggerimenti, paragoni.
Se pochi si sognano di suggerire a un architetto, un editore, un regista come progettare un edificio, una collana editoriale o un lungometraggio, chiunque progetti un museo troverà centinaia di interlocutori pronti a spiegargli, in 5 minuti, come farlo diversamente e meglio; chiunque progetti un festival riceverà centinaia di segnalazioni riguardanti oratori imperdibili e temi imprescindibili, quasi che dialogare pazientemente con decine di soggetti assai eterogenei e coordinare le tante professionalità e mentalità che gravitano attorno a simili iniziative fosse la cosa più facile e semplice del mondo.
Ma non è forse vero che la cultura, sul patrio suolo, si diffonde per simpatia? Che per progettare con senso e serietà in campo culturale basta andare in viaggio di nozze in una delle tante città d’arte: cinque giorni di furore, tra una copula e una cupola, per far vedere ai parenti che nessuno in Italia, anche il più somaro, può rimanere insensibile al fascino delle sue eterne beltà? Nel dubbio si può sempre pescare nelle acque della televisione, in cui galleggiano naufraghi e pirati di ogni sorta: se viene da lì dà maggiori garanzie di professionisti con curricula di trenta pagine.
[continua…]
Guido Guerzoni, Le idee si pagano, pubblicato sul supplemento culturale del “Sole 24 ore” e leggibile su Le parole e le cose, 19 marzo 2012.
(cercando con Google Immagini qualcosa da mettere in alto, alla parola Designer è uscita questa pubblicità di Armani. Credo che il signor Google Immagini sia fortemente corresponsabile dell’evidente e inarrestabile declino della professione di Designer)
Ne avevano già parlato, mi pare, ma giova ripeterlo grazie.