In questa breve riflessione di Santiago, ritrovo alcuni temi cari agli architetti, in particolare che l’architetura, con le sue pareti e superfici, si impregni come una spugna dei pensieri e della vita di chi vi è passato.
Un’idea un po’ nostalgica che, a mio giudizio, sopravvaluta non la capacità ricettiva dei muri ma quella “impregnante” di noi umani.
In più non ci lascia scampo. Si descrivono voci di maestri che echeggiano per aule vuote, sorta di immagine in bianco e nero alla Wenders, capaci di influenzare gli studenti a distanza di tempo. Ma per quelle aule che hanno visto pessimi docenti, non è meglio perderli certi echi?
Aalto ha detto, con rammarico, all’inaugurazione di una sala da lui progettata, che, essendo stato il primo pezzo suonato lì una marcia militare, la stanza era ormai irrimediabilmente perduta come dispositivo per la musica.
I muri conservano, allo stesso modo degli strumenti musicali, memoria intangibile ma certa degli esseri che li hanno vissuti, costruiti e utilizzati. Quando un’opera viene utilizzata come stalla, ospedale o polveriera, per sempre conserverà un po’ di allevamento, di morte o di guerra.
Così, quando i muri di una scuola di architettura si sono imbevuti di un utilizzo profondo, l’insegnamento e l’apprendimento sono alterati in maniera irreversibile. E poi quasi tutto, forse più importante, deriva da loro. Come per irraggiamento.
Allora le pareti macchiano di architettura coloro che vi si avvicinano. E quasi non c’è bisogno di andare nelle aule, perché ci sono fantasmi che insegnano e da lì sussurrano parole recondite che si insinuano nei luoghi più fastidiosi, a cominciare dagli occhi e dalle mani.
Tra quelle mura vive allora non solo la memoria degli insegnanti chiamati in ogni classe, ma ogni notte insonne, ogni disegno, ogni sforzo, ogni commento che abbia come centro l’architettura. Questa ombra fantastica che dà un senso alle pareti stesse.
Santiago de Molina, CUANDO LAS PAREDES MANCHAN, 21 de mayo de 2012
I muri conservano, allo stesso modo degli strumenti musicali, memoria intangibile ma certa degli esseri che li hanno vissuti, costruiti e utilizzati. Quando un’opera viene utilizzata come stalla, ospedale o polveriera, per sempre conserverà un po’ di allevamento, di morte o di guerra.
Così, quando i muri di una scuola di architettura si sono imbevuti di un utilizzo profondo, l’insegnamento e l’apprendimento sono alterati in maniera irreversibile. E poi quasi tutto, forse più importante, deriva da loro. Come per irraggiamento.
Allora le pareti macchiano di architettura coloro che vi si avvicinano. E quasi non c’è bisogno di andare nelle aule, perché ci sono fantasmi che insegnano e da lì sussurrano parole recondite che si insinuano nei luoghi più fastidiosi, a cominciare dagli occhi e dalle mani.
Tra quelle mura vive allora non solo la memoria degli insegnanti chiamati in ogni classe, ma ogni notte insonne, ogni disegno, ogni sforzo, ogni commento che abbia come centro l’architettura. Questa ombra fantastica che dà un senso alle pareti stesse.
Santiago de Molina, CUANDO LAS PAREDES MANCHAN, 21 de mayo de 2012