Fuori. Salone

    Sabato passeggiata a Milano. Che uno dice: ma dovevi andare proprio a Milano per fare una passeggiata? La scusa era il Salone del mobile, in realtà, mai come quest’anno, non ero interessato a nulla esposto. Il fatto è che non avevo testa e interesse nè per allestimenti nè per gli oggetti e l’unica cosa che ha catturato l’attenzione erano il cielo azzurro, il tepore quasi estivo, la leggera adrenalina da giovane designer in fregola, le chiacchiere, i passi sull’asfalto, il panino con la salamella, i racconti sui colon irritabili e i gelati da grom.

    Avendo a disposizione solo una mezza giornata, abbiamo concentrato le forze su Ventura-Lambrate. Se mi chiedete cosa mi è piaciuto, direi con sicurezza: lo stand Ikea. In questo noto una certa idiosincrasia. Da una parte ci sono designer raffinati che producono singole opere paragonabili a pezzi d’arte (di cui hanno soprattutto il prezzo ma non la poetica) e dall’altra il grande magazzino dell’arredamento. Da una parte si propongono pezzi unici e dall’altra serie illimitate a basso prezzo.  Inutile dire che propendo per la seconda opzione. Trovo abbastanza immorale poggiare il culo su uno sgabello da 4000 euro quando la stessa cosa la posso fare a molto, ma molto di meno. O gli oggetti puntano ai musei e alle gallerie d’arte o alle case di tutti. Penso che il compito del design sia semplificare la vita della gente, non alleggerire il portafoglio di pochi indecisi su come dar senso ai propri denari.

    Un’altra cosa che ho notato nel brevissimo giro è questa tendenza diffusa al neopauperismo, a questo stile neo-neolitico che sembra tradurre in estetica d’arredo il clima da carestia che stiamo vivendo (tanto per capirci, un po’ le cose che fanno Formafantasma,  rispetto ai quali le lancette del mio fuffometro iniziano a schizzare come un contatore geiger in presenza di barre d’uranio). Trovo strano che in tempi di crisi  la risposta di alcuni designer invece di andare verso il prodotto ikea (economico e funzionale) sia la pizza di fango e sterco di vacca. Forse è solo un modo per alleggerire la coscienza di chi si sente a disagio a possedere tanto mentre in tanti colano a picco.

    Un’altra tendenza che ho trovato abbastanza onnipresente quanto fastidiosa è il tessuto ibridato con gli oggetti: sembra che ogni designer non vedesse l’ora di mettersi a un telaio e tessere come Penelope con la lana (possibilmente grezza e puzzolente). Passerà anche questa.

    Per chiudere voglio solo citare un oggetto che ha catturato veramente il mio interesse. Un tavolo progettato per resistere a grandi pesi da usare come rifugio durante i terremoti. Anche se esteticamente è un po’ spartano mi è sembrato tra i pochi oggetti ad avere un senso.

    http://www.dezeen.com/2012/04/11/earthquake-proof-table-by-arthur-brutterand-ido-bruno/

     


    25 thoughts on “Fuori. Salone

    1. sono vittima ma cosciente dei limiti dei miei apparenti bisogni: tutto finito in occhiali in alluminio spazzolati a mano in edizione limitata. prezzo accessibile però…

      1. mi sembrano un buon esempio di design (a parte la firma di olivierotoscani che portano sopra)
        Non ti piacevano anche i tessuti fatti in abruzzo e poi ricamati a milano? Di chi erano?

            1. decisamente rivoltante. Certo che se uno ci pensa, perché le piume d’oca sì e i pulcini no?
              Mi chiedo, di fronte a queste cose provocatorie, se sia sempre necessario provocare shock e disgusto per attirare l’atenzione rinunciando a strumenti più sottili come l’ironia e lo spirito d’inventiva.

    2. rem, altro che neopauperismo. diciamo che più di tutto ti è piaciuta la ikea-discoteca con all’interno la consolle audiovideo di prossima uscita che sparava il concerto di lady gaga a 1000 dB e che ha messo in crisi tutto il tuo percorso di avvicinamento al nirvana.
      :-P

      1. per non parlare del divano alcova biancopanna con di fronte il suddetto mobile-televisore che mandava il film Julie & Julia. Sarei rimasto lì tutto il tempo spaparanzato, ma solo per testare il prodotto, eh!

    3. diciamo che un po’ di poetica ancora c’è in giro.
      basta essere ricettivi.
      allego due piccole visioni zen che mi hanno rinfrancato in mezzo al uèbellalìragaandiamoafarciun’apecisibeccainsempionesciallaseiunozanzastop


      1. l’ho detto, ero ricettivo quanto una sogliola lessa. Per esempio questa prima installazione che sembra un disegno appena schizzato, me la sono persa.
        Su Nendo ci devo pensare su, il mio fuffometro lancia strani segnali…

        1. ok, il fuffometro si sbagliava, rimane il dubbio che nendo sia molto debitore del minimalismo americano (penso soprattutto a Sol LeWitt e Donald Judd ).
          Visto che il minimalismo sembra molto vicino all”estetica zen, il cerchio si chiude.

    4. REM,
      fanno impressione le prove tecniche sul tavolo (da adottare in tutte le scuole).
      T’invito a evitare di leggere la pagina dello speciale del Corriere della Sera (La lettura) sul ritorno all’artigianato e al Made Italy (pagina di propaganda estetica).
      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

      1. L’invito a evitare di fare qualcosa è un’istigazione a fare quella tal cosa, per cui andrò subito a leggerlo.
        Inoltre, la propaganda estetica, come tutte le forme di propaganda, va riconosciuta, e conosciuta, per poi evitarla.

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