Per una volta mi trovo a descrivere un evento dalla parte del palco e non della platea. Il punto di vista è diverso, più scomodo e parziale ma ha i suoi lati divertenti. L’incontro si è svolto negli spazi della Centrale Fies in modo assolutamente imprevisto e, penso un po’ per tutti, spiazzante, ovvero senza scaletta, senza regole precostituite o frasi di circostanza. Nessuno dei partecipanti sapeva cosa avrebbe fatto l’altro, compreso Stefano Mirti che ha fatto da vero e proprio domatore, a cui mancava solo la frusta per pungolare tutti i presenti, spettatori compresi, a mettersi in gioco.
A differenza dei soliti incontri, in cui ognuno si trincera dietro il proprio ruolo e le proprie slide di powerpoint, è stato un salto nel buio. Non sapevamo cosa aspettarci e, al contrario, dovevamo accettare l’inaspettato e l’imprevisto. Questa cosa, il sentirsi sul filo teso senza rete, è all’inizio paralizzante ma poi lo scopri salutare. Libera energie sopite, e non è solo l’adrenalina o la paura di sbagliare, o di dire cose banali o di essere incompreso, è togliere spazio alle strutture, o sovrastrutture, di sicurezza che, seppure ti rendono più sicuro, allo stesso tempo ti imbrigliano e ti legano.
Anche il pubblico ha vissuto lo stesso trattamento, spronato a intervenire, anche a salire sul palco, fino a scambiare il proprio ruolo da spettatore in attore. Immagino che questa cosa possa aver creato imbarazzo tra la gente, quel panico da interrogazione a sorpresa, ma spero che l’ambientazione sopra le righe e surreale, il costume da domatore del “moderatore” e lo spazio teatrale in cui il tutto si svolgeva abbiano fatto perdere quel po’ di inibizione che normalmente divide gli oratori dagli ascoltatori.
Uscire dalla propria quotidiana zona di comfort, sia che si tratti di quella professionale che mentale, è un esercizio che, per un timido patologico come me, risulta utilissima.
La cosa interessante è che tutto questo sia partito dall’ordine degli architetti di Trento. Non so voi, ma ogni volta che mi sono trovato agli incontri dell’Ordine o c’era il solito architetto invitato che faceva vedere i rendering perfetti o le foto di cantiere (rarissime) oppure si dibatteva di estenuanti normative in continua evoluzione e trasformazione. Certo, anche questo tipo di incontri hanno la loro importanza e ragione d’essere, però ogni tanto incontrarsi per abbattere qualche barriera, o per allenarsi all’imprevisto, può essere salutare anche per una professione ormai sclerotizzata dalla burocrazia. Direi di più, oltre ai corsi sulla sicurezza, l’ordine dovrebbe istituire dei corsi di improvvisazione, tipo quelli che si fanno a teatro con i bambini: aiuterebbe a prendersi meno sul serio e ad accettare qualche rischio in più anche nella professione.
Tornando alla serata, il mio racconto è viziato dall’essere stato per la maggior parte del tempo vicino alle quinte. A differenza del pubblico, noi non sentivamo praticamente nulla degli interventi. Non essendoci degli altoparlanti sul palco, vedevamo gli interventi dalle spalle e ogni tanto ci chiedevamo l’un l’altro cosa avesse capito della presentazione (per non parlare del pipistrello che ogni tanto svolazzava rasente sulle nostre teste dimostrando uno sconveniente quanto assoluto disinteresse per gli argomenti trattati). Per dire, se mi chiedete di cosa parlasse l’intervento di Luca Coser e del perché avesse un pallone da calcio in mano, io non saprei rispondervi. Però anche questo fa parte del gioco e, magari, è servito a creare, riannodando fili e parole prese all’amo nell’aria, un’idea personalissima del senso generale della discussione che, non dimentichiamo, girava intorno al design. Dico che fa parte del gioco perché il senso della serata mi è sembrato questo: invece di partire da una tesi (viva il design/abbasso il design – il design è vivo/il design è morto) ci si è trovati di fronte a un mosaico di esperienze e provocazioni che, seppur frammentarie e personali, lasciano a ognuno lo spazio per riflettere e fare le proprie considerazioni.
prima dell’inizio avevi una faccia preoccupata come neanche prima della maturità…. ;)
grazie di aver partecipato a questo esperimento, impavidi ast. only the brave…
meno male che avevo i baffoni per farmi coraggio.
I coraggiosi siete voi ad averci invitati!
siamo braveissimi a far bolle di sapone…