A House is Not a Home – Dusty Springfield & Burt Bacharach
A chair is still a chair, even when there’s no one sitting there
But a chair is not a house and a house is not a home
When there’s no one there to hold you tight
And no one there you can kiss goodnight
A room is a still a room, even when there’s nothing there but gloom
But a room is not a house and a house is not a home
When the two of us are far apart
And one of us has a broken heart
Now and then I call your name
And suddenly your face appears
But it’s just a crazy game
When it ends, it ends in tears
So darling, have a heart, don’t let one mistake keep us apart
I’m not meant to live alone, turn this house into a home
When I climb the stair and turn the key
Oh, please be there
still in love with me
Sti cazzi!!!
Una canzoncina pop che racchiude un mondo. A parte la storia d’amore struggente (litigi, rancori, famiglia, casa, perdono, solitudine) la parte sulla sedia, la stanza ecc ecc dovrebbe essere mandata a memoria da tutti gli architetti e designer dell’universo intero.
E vogliamo parlare dell’impalcatura che ha sulla coccia Dusty?
tu lo sai che a burt bucharach non si può dire canzoncina pop vero?
scusa burt, perdonami se ho sbagliato, reciterò 3000 Raindrops… per emendare il mio errore
anche 2000 “Do You Know the Way to San Jose” e sarai assolto
OMG.
ma neanche mettendo insieme la cofana di moira orfei e la gestualità di rupaul si poteva ottenere un risultato di siffatto livello.
grazie dusty.
grazie massimì.
poi capisci il background culturale dei suppostoni di Sir Norman Foster
manco Tafuri avrebbe colto il sottile nesso tra l’architettura hightech del sir e il tuppo laccaspruzzatto di Dusty (ci rendiamo conto che il parrucchiere di Dusty è responsabile di un buon 5% del buco nell’ozono?)
Dopo l’architettura organica viva quella cotonata!
zero impalcature interne, involucro pressoché autosostentativo con il solo ausilio di aerosol fissativi a base di alcool e zuccheri: una parrucco/meringa