Abbiamo conosciuto per la prima volta Fabio Perletta in occasione del progetto Menhir. Insieme a Giustino Di Gregorio, Claudio Pilotti, Manuela Cappucci e Gabriele Esposito aveva lavorato a un’installazione affascinante e misteriosa, un parallelepipedo fatto di luci e ombre in cui il suono echeggiava come in un pozzo profondo. Fabio si era occupato in quell’occasione proprio dell’apparato sonoro.
Siamo arrivati a casa di Fabio un pomeriggio di ottobre. La villetta, immersa nel silenzio, sta su una collina da cui si può vedere la costa adriatica. Fabio ci ospita nella sua camera/studio, piena di cd, attrezzature musicali, libri e un’infinità di piante di cactus. Sono questi i testimoni muti delle fantasmagoriche creazioni di Fabio, un giovane riservato che ama passare il tempo a generare microuniversi sonori attraverso big bang silenziosissimi.
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Per iniziare, ci spieghi che cosa fai?
Questa domanda è difficile. Volete sapere cosa faccio per vivere o per passione? Tendenzialmente cerco di separare le due cose: per vivere mi occupo di Sound Design come professionista – collaborando spesso con Andrea Gabriele, che avete già conosciuto – e come docente in corsi privati. Invece la mia ricerca di musicista va in un’altra direzione, esplorando il suono come elemento di confine tra scienza e percezione. Inoltre ho creato una mia etichetta discografica: si chiama Farmacia901 (http://www.farmacia901.com)
Cos’è il Sound Design?
È un termine inglese universale che sta ad indicare la progettazione e la realizzazione del suono per installazioni site-specific, TV, cinema, Web, sfilate di moda, eventi multimediali in genere. Sono tutti campi in cui il suono può fare da semplice sottofondo oppure assumere un ruolo prevalente. Questo caso avviene soprattutto nelle installazioni e nel cinema di ricerca in cui l’elemento sonoro è fondamentale ai fini del linguaggio. Ad esempio suono e cinema sono così legati che su questo tema ho fatto la mia tesi in Arti e Scienze dello Spettacolo a Roma.
Come sei arrivato ad accostare nel tuo percorso suono e cinema?
Sono sempre stato un appassionato di musica, fin da piccolo ho ascoltato il rock classico degli anni ’70 grazie a mio padre. La passione per il cinema, invece, è nata dopo aver visto Paris Texas di Wim Wenders. Tra l’altro il film è uscito nel 1984, il mio anno di nascita.
Quando si dice il destino…
Ho un amico appassionato di cinema che mi ha prestato questo film e dopo averlo visto ho iniziato a sviluppare una vera passione per il cinema di ricerca che poi mi ha portato a scegliere di studiare cinema all’università.
Qual è il tuo film preferito di Wim Wenders?
Lo stato delle cose.
Visto che sicuramente sei un appassionato dei film di Wenders mi puoi aiutare a ricordare il titolo di un film che ho visto molto tempo fa. Mi è rimasta impressa solo questa scena: il protagonista, uno che di mestiere trasporta le pizze dei film da un cinema all’altro, a un certo punto si ferma, scende dal suo camioncino, prende dei fazzolettini di carta, si abbassa i calzoni, fa la cacca, si pulisce e riparte. Tutto senza effetti speciali, così in favore di camera. Per questo, a differenza dei più, per me Wenders non è la scena dell’angelo che guarda in basso dalla torre ne Il cielo sopra Berlino ma è un uomo che fa la cacca in mezzo al nulla.
Non mi viene in mente, cerchiamo in Google. “Wenders uomo cacca camion”: Nel corso del tempo, questo film non l’ho visto.
Vedi! Il tuo destino sarebbe stato sicuramente diverso se anziché Paris Texas avessi visto Nel corso del tempo. Torniamo indietro. Cosa si studia ad Arti e Scienze dello spettacolo?
Considerala una facoltà di lettere con materie inerenti al cinema come storia del cinema, filmologia, storia e critica del cinema, storia del cinema italiano, cinematografia documentaria, istituzioni di regia, e poi tutti i vari classici come letteratura italiana, francese, storia moderna, antropologia culturale, antropologia visuale…
Sembra bello…
Molto bello, peccato però che in Italia lo spettacolo sia sempre visto come qualcosa di alieno. Ogni volta che mi chiedono cosa faccio nella vita, e rispondo “il musicista”, immancabilmente mi domandano: “Sì, ma per vivere?”
In questo musicisti e architetti hanno molto in comune. Nel frattempo come hai fatto a coltivare la tua passione per il suono?
A Roma ho studiato musica elettronica e Sound Design in un istituto privato che si chiama IITM, Istituto Italiano per le Tecnologie Musicali. In realtà già suonavo. In adolescenza ho studiato privatamente pianoforte con il maestro Ruggeri, un famoso fisarmonicista Jazz, e da autodidatta la chitarra.
Invece alla musica elettronica come sei arrivato?
Fondamentalmente mi piace che la musica elettronica possa offrire qualcosa di nuovo legato alla tecnologia. Questa mi ha sempre affascinato, fin da quando vedevo mio padre armeggiare in casa con un’enorme videocamera analogica. Dell’elettronica mi incuriosisce il fatto che permetta di scomporre, osservare e manipolare il suono fino a crearlo in maniera sintetica. Il suono elettronico mi colpisce per il suo non avere corrispondenza con i suoni della natura e degli strumenti meccanici come pianoforte o chitarra.
Sei riuscito a combinare queste passioni per il cinema e il sound design?
In realtà non ancora. Mi piacerebbe lavorare di sound design per il cinema ma non ci sono ancora riuscito anche perché dopo l’università, il cinema l’ho messo da parte. In realtà del cinema mi ha sempre interessato sia l’aspetto teorico sia l’enorme potere evocativo legato ai linguaggi che riesce a fondere, tra cui il suono. Nel cinema la cosa davvero affascinante è tutto ciò che è fuori dal limite dello schermo, ciò che non si vede e non si sente ma si può immaginare. Tra l’opera e lo spettatore si crea una relazione sempre unica e diversa. Per questo si può vedere un film infinite volte e scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Tornando al Sound Design, oltre ad essere il tuo lavoro, ti permette di ricercare in direzioni artistiche più sperimentali?
I lavori in cui guadagno sono su commissione, invece con l’arte, la mia ricerca musicale, decisamente meno. Per sintetizzare, il mio campo di ricerca abbraccia tre ambiti fondamentali: la psicologia, la percezione umana e la fisica.
Il suono di per sé è un fenomeno fisico, uno spostamento d’aria, un fenomeno di compressione e rarefazione che si può ben notare nelle vibrazioni del cono degli altoparlanti. Poi, avviene il miracolo, ovvero la trasformazione di un semplice movimento dell’aria in un segnale elettrico che è interpretato dal cervello come un suono. Il suono, come fenomeno fisico, ha una componente oggettiva, l’intervallo compreso tra 20 hz e 20.000 hz percepibile dall’orecchio umano, ma anche soggettiva data dalle emozioni che suscita in chi ascolta. A me interessa condividere emozioni universali come calma, fascinazione, tristezza, felicità, che poi ogni ascoltatore interiorizza secondo il proprio vissuto, i propri fattori ambientali, i propri traumi.
Nel mio ultimo EP, intitolato Field Atom(s) Entropy, il punto di partenza è il concetto di entropia. Mi sono immaginato questa lente d’ingrandimento enorme con cui squarciare la materia e vedere cosa accade all’interno. Invece Interstitial Spaces è un lavoro al limite della soglia del silenzio, tant’è che negli ultimi concerti ho ridotto il volume delle mie performance drasticamente. La cosa interessante è che s’innesca un processo di attenzione verso il particolare, in cui i rumori più banali (il fruscio di una giacca, il ghiaccio che scricchiola nel bicchiere o il sibilo del respiro) sono percepiti in modo amplificato e nuovo.
Visto che viviamo in un ambiente sonoro completamente inquinato e siamo oramai diseducati ad ascoltare, come viene recepita la tua ricerca dal pubblico?
La mia è sicuramente una reazione a questo inquinamento. In realtà il silenzio e il rumore sono intrinsecamente legati, direi inversamente proporzionali, ed entrambi spaventano.
Quando crei le tue composizioni hai in mente un pubblico specifico?
Sarei ipocrita se dicessi di no, per me è importante avere in mente non solo l’ascoltatore ma anche i luoghi di ascolto. Però non mi preoccupo troppo del successo commerciale di un lavoro.
Prima hai accennato che ti occupi anche della grafica che accompagna i tuoi lavori. È un aspetto legato al tuo modo di concepire la musica?
Visualizzo sempre la musica. Mi capita spesso di aprire Illustrator e disegnare il suono che ho in mente.
Per esempio, per Field Atom(s) Entropy ho creato tre video legati al concetto di entropia, pensati per un’installazione immersiva e generati in tempo reale da un software. È una sorta di indagine al microscopio a livello degli atomi, una fotografia in divenire della materia.
Sono elaborati a partire dal suono?
No, questa sorta di randomicità è slegata dal fluire sonoro. Non m’interessa la sincronia tra audio e video, preferisco che ci sia una sintonia su piani diversi, semantici, emotivi e che queste connessioni si formino in maniera inaspettata.
Qual è il progetto a cui tieni di più?
Sicuramente Interstitial Spaces, uscito il 10 febbraio per la mia Farmacia901.
Quando hai bisogno d’ispirazione che cosa fai?
Bevo té verde – di cui sono un grande appassionato e cultore -, guardo fuori dalla finestra, leggo Einstein, accendo le luci, creo il mio habitat. In realtà non cerco l’ispirazione, raramente mi siedo senza avere già un’idea. Poi, come tutti, mi emoziono anche di fronte a delle banalità: un profumo, un rituale, una frase, una parola che risuona in un certo modo. La cultura Zen mi ispira profondamente.
Hai dei siti web preferiti?
Colorhexa, National Geografic, NASA, il sito di Ryoji Ikeda.
Leggi riviste?
Non ho mai fatto abbonamenti, mi piace variare. Apprezzo molto Neural e, in passato, ho letto Blow Up.
Libri?
La nausea di Sartre, mentre ora sto leggendo Relatività: esposizione divulgativa di Albert Einstein.
Vedi TV?
L’unica cosa che vedo è National Geografic su Sky.
Film?
Procedendo random, mettendo insieme film e registi, mi vengono in mente 2001 Odissea nello spazio, Paris Texas, Shinya Tsukamoto, Werner Herzog. Una sua cosa fantastica che ho visto ultimamente è Bells From the Deep (Rintocchi dal profondo) di Herzog, un documentario su una regione della Siberia. Ma la lista sarebbe infinita: Aleksandr Sokurov, Béla Tarr, Abbas Kiarostami, Michelangelo Antonioni, David Lynch…
La città in cui vivresti?
Parigi e Berlino in cui ho vissuto recentemente. Una città molto viva culturalmente e a misura d’uomo. Economica (ancora per poco credo) e affascinante, vecchia e nuova. Una meta indiscussa per gli artisti che lavorano con l’arte elettronica.
Musica?
Gli ultimi ascolti: Elegant & Detached di Pinkcourtesyphone (Room40), musica tradizionale giapponese per Koto, Prati bagnati del monte analogo di Raul Lovisoni e Francesco Messina (Die Schachtel), l’omonimo di Pitrleleh (Important Records), Diversions 1994-1996 di Lee Gamble (PAN), Ruins (Nephogram) e Field (Brusio) di Franz Rosati.
Tanto per capirci, qual è la cosa più commerciale che ascolti?
Mi piacciono i Blur, Lucio Battisti…
Quali sono le qualità che servono per fare il tuo lavoro? Quali possiedi e quali vorresti avere?
L’unica vera qualità che serve per fare questo lavoro è la sincerità perché se quello che fai è artefatto, chi ascolta se ne accorge. Poi aggiungerei la determinazione e il carisma.
Qual è quella su cui pensi di doverti impegnare di più?
Direi il carisma, necessario soprattutto per far progredire l’etichetta. Non mi interessa il guadagno in sé ma la possibilità di continuare a pubblicare gli artisti che preferisco e stimo.
Cosa ti piacerebbe trovare nel tuo futuro?
Sicuramente dei bambini: diciamo almeno due, massimo quattro.
Invece una preoccupazione?
La morte.
Ci fai i nomi di amici, colleghi o persone interessanti che vorresti farci conoscere?
Ennio Mazzon, Emiliano Romanelli, uno dei membri degli ex Tu m’, il primissimo gruppo di Andrea Gabriele; poi, non posso non citare Giustino Di Gregorio, che avete già conosciuto, e Franz Rosati.
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http://www.fabioperletta.it
http://www.farmacia901.com/
http://soundcloud.com/
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Foto di Pippo Marino.
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Siete tornati, che bello. Ero un po’ preoccupato, di non veder iù nesssuno qua in giro.
ciao m.arch.antonio, ci siamo solo che latitiamo un po’.
Adesso stiamo lavorando alla prossima intervista: è già in cantiere, vedrai presto.
un saluto
buon lavoro!