Li architetti sono anime più scempie di quelli

    Visto che oggi è domenica e, immagino, che abbiamo più tempo, vi propongo come lettura post-pastalforno questo ironico bozzetto del sempre caustico Gadda.

    Questa terra felice, denominata Breanza, da ‘bre’ che significa fortunato, è tra le più ridenti e verdi della provincia nostra ed è la natural sedia di quelle amplissime e venustissime ville che i maggiori nostri edificarono a loro dimora per l’ozio loro, dopo le urbane contenzioni e li affanni delle politiche invidie: piantandovi d’attorno convenienti ed acconcissime piante, che superstiti sopra la banalità popolano d’un fantasioso e nobile popolo antichi giardini.
    I discendenti de’ vecchi signori intristirono nelle democratiche giostre, nel corso delle quali vennero tra le nuvole de’ molti coriandoli quasi al tutto disarcionati. Altri infetidirono nel commercio del borbonzola, sorta di odorosissimo e pedagno escremento menato d’un suo borbomiceto verde-azzurro che ne fa ghiotti i deglutitori sua. Sicché le antiche ville, o ne vennero segati appié i grandissimi ed alti sogni d’alberi, per cavarne legno d’opera e sul terreno edificarvi le scuole di chi non impara, o siffattamente diradarono nella verde piana, da parer pochi e verdi cespi fra le distrette d’un fumoso cantiere; dove comandano i capimastri e i bozzolieri.
    Questi capi mastri trovarono gran fortuna nelle condegne anime de’ salumai, de’ fabbricatori di pitali, de’ bozzolieri, de’ tessitori di guendalini, e d’altri degnissimi artefici della ricchezza e della bruttezza lombarda. Li quali, visti li disegni de’ mastri, subito presi d’ardore per que’ tanto (a giudicio suo) venusti disegni, gli commessero senza porvi nessun prudente indugio quale una casa, quale una casina, quale una villa, quale un villino, quale un villone. Da far prendere adeguato fresco, in su le belle sere estive, a loro coglioni spalancati nel terrazzo di dette ville. E tante ne accozzarono e così tipicamente capimagistrali e lombarde, che quella collina e quel primo e dolce monte che vide messer Antonio vinigiano, detto nel comune el Canaletto e che si titola La cassina della Gazzada presso a Varese dove la modestia dolce dell’edificio è circonfusa di carezzevoli chiome di castani e di azzurrissima luce dei monti, ne venne un siffatto accampamento di pitaleschi orrori che Lombardia mi par voglia oggi dire itterizia. Io almanco ci sto come un malato presso alla cagione del male. Aiutarono la bisogna quelli modi del costruire che concomitarono il primo arricchimento di questi arfasatti nuovi e cupidi di varesina villa, da sé medesimi denominatisi signori o [alla] lombardesca “sciuri” in cagione de’ copiosamente parti dinai.
    Fu verso l’anno di Nostro Signore 1900 e fino a tutto il 14 e dipoi, nella saravanda che ne seguì. E furono detti questi modi nuovi liberty e floreale, moderno o che so, ma erano solamente le sconce laidezze che possono piacere a’ capomagistrali intelletti, al tutto grossi ed ignari di una lunga traduzione di bellezza e d’artificioso e nobil senso del costruire, quale si riscontra nella terra nostra, dove sono infiniti peccati, ma infinite virtù. Perugia, Sena, Fiorenza, Roma, Vinegia ed altre cotali città maestre, e la medema e purpurea Milano di monsignor Duca Giovan Galeazzo e del figlio del contadino, lo Sforza che edificò lo spitale ed altri buonissimi e veramente lombardi edifici (ché lombardo significa virtù grande se ne sai rimuovere la tristizia del lasciar vincere agli arfasatti) – questi nomi erano più discosti dalle anime e dalle scuole dei detti salumai e capimastri, che dall’anima mia Babylon o Tumbuctù la città del Gran Lama, che è uno prete grandissimo de’ Mammalucchi. E se alcun cenno vi avevano, era al tutto cartaceo e tolto di dozzinale quaderno, e non fatto di vissuta contemplazione, onde, al scimmiare, ne veniva una Vinegia e una Fiorenza di cartolina, scema al tutto di quella propia e accorta finezza che solo può nobilitare la imitazione. Né d’altronde io dico che si debba far copia, perché far copia da Vinegia o da Roma in Via de’ Bossi mai non ne verrai a capo, o asino capomastro che ti improvvisi architetto: dico che si tolga da una traduzione antica, d’antiche armonie, il germine della nuova armonia.
    Molto nocquero i detti liberty e altri modi e il pessimo stil nuovo. Ma più ancora il frenetico che ebbon ed hanno questi lombardi delli anni 1900 d’aver sempre la faccia rivolta verso quella parte, d’onde ab antiquo discesero. Non era correggia che facci uno francese o uno alemanno che a questi bozzolieri non li paresse vento sublime dell’Alpe. Ed ebbono tale amore alla Sguizzera, ch’è pure uno nobile popolo (ma nulla vi pertiene, lo edificar case a Milano e ville in su la Breanza, con la fierezza e i buoni oriuoli di detto popolo), che si pensorno far le sua ville nel modo degli “chalets” e delle baite o case di quegli eccelsi monti, e ghiacciate convalli delli Sguizzeri. Ma il ferragosto in Breanza è pieno di mosche e di polvere: e la gallina ti fa uno coccodé interminato nell’orecchio tuo, anche se lo hai grande e peloso e rivolto nel Settentrione. Sicché nulla ti conviene questo “chalet”: e poi, quand’anco ti convenisse per cagione di belluria, vi ti manca a farlo l’adequata materia. Da poi che costruire ed architettare non significa trar con l’inchiostro sul foglio dei facili segni ma percepire invece e studiare e quasi annusando intuare la materia con che costruisci.
    Sicché li chalets, che li Sguizzeri di molto bosco li fanno con adagiar travi e legni sopra quattro cappelle di sasso, le quali salvino il legno dall’umido e tutta la casa dalla rampicata de’ sorci, e poi li rivestono d’assi annerite con il fummo; questi capimagistrali cervelli de’ lombardi agli anni 1900 li feciono invece di sasso e malta, come altrimenti non potevano fare, e poi vi pinsero sopra gli assi, con quel povero pingere che poterono simili capi mastri. E l’acquate cancellano i finti assi come il tempo ogni finta grandezza e ne rimane lo scalcinato muriccio. Di legno ci misero solo che la mantovana alla grondaia. Così tradirono a un tempo la patria ne’ suoi aspetti nè conseguirono tampoco la Sguizzera, nè altra settentrionale perfezione.
    E volendo io discorrere la cagione di così turpe e scimmiesco malfare, dirò che la si ritruova essere di quattro diverse generazioni: primo perché detti lombardi sono mescolati di Galli e di Germani e sentono come uno richiamo del sangue e delle terre da che ab antiquo convennono sotto il cielo ed i segni e le leggi nostrani: e questa è cagione non disdicevole perché la è congeniale, né vi ha luogo ad accusa. Secondo perché i traffici e le industriose fabbriche delli pitali di ferro smaltato, vennero loro nell’anno 1900 circa primamente dalla Magna; e col venir pitali motori elettrici e macchine da tessere essi pensorno, nel giudicio suo, ne dovesse venire in conseguenzia l’arte dell’edificio, che è legata alle materie invece ed al clima, alle convenienze ed alle luci, alle opportunità delle genti e de’ luoghi. Dimentichi al tutto che il Bramante e Giuliano di Sangallo, Baldassarre Peruzzi e ‘l Sansovino, e ‘l Palladio, e ‘l Vignola e l’altro che con sommo ed igual magistero sculpse, architettò e colorò, quello che l’Ariosto lo allega e lo estolle come supremo esempio dicendone Michel, più che mortale, angiol divino, dimentichi che cotesti tutti non presero il latte alle mamme d’Elvezia. La terza generazione dell’esser scimmie rivolte nel cielo settentrionale è la più grave e turpe, ed è una sorta di mancamento della propria anima di popolo, o del senso, del valore e del vigor collettivo del popolo suo, che ne’ popoli come nelle individue persone l’amore di farsi urinar addosso da un altro. La Dio mercè questo mancamento grave è stato emendato e corretto dalla gravissima pruova a che si condusse la nazione nostra negli anni di N. S. 1915-1918 e seguenti. E la quarta generazione, dirò a conchiudere, è fatta d’ignoranza, di cecità, d’ignavia, e di celtica e germanica presunzione mescolate nel sangue lombardo, senza l’attiva ricerca di quelli. È un credere che ‘l mondo si esaurisca nel tuo quadernuzzo, e nell’eserciziuzzo della scuola de’ capimastri, e che l’artificio sia cosa da ragazzoni zazzeruti e sani di Saronno, quando l’è un affinato esperimento degli anni consunti e de’ secoli consuntissimi, un portato di ripetizioni e di suggerimenti infiniti, di comparazioni severissime, dal di cui lungo magistero e dalla di cui consuetudine interminata tu traggi alfine il rapido atto e il vigore della certa creazione.
    Andate a veder mondo e paese! E modi e genti, torri e palazzi. Dietro la valle è il monte, e dietro il monte altra valle, e questa torre altra e lontana saluta con la sua guardia verso i fuochi occidui, e così fino al mare infinito, a cui tutti li fiumi decédono. Ogni operosa bontà non può ignorare gli emuli sua: poiché se tu non li vedi, e’ possono aver fatto senza tu lo sappi cento volte quel che tu fai. Tu ti conclami di dover essere considerato maestro, e sei meno che lo scolare. Perché, da solitario maestro, hai fatto meno che l’ultimo delli scolari di quelli. Così se i benefici e munifici e filantropici filareti milanesi, che tanto feciono per la scuola de’ zazzeruti capimastri, li avessimo insegnato di fare una andata, potendo, nel Castello, nello Spitale, o nella Certosa, e li avessimo assicurati che il loro diploma era per edificar le stalle (e nemmanco) e non ville, forse la Lombardia la non la sarebbe così ridotta. Ma che dico li capimastri? quando li architetti sono anime più scempie di quelli?
    Non è architetto a Milano, o all’Ufficio del Comune, che paia conoscere li angoli di gradi 30, 45, 90 e 135, che sono li angoli di meglio misura, con simmetrie perfette, e de’ poligoni migliori. Dovendo sistemar le vie o le case ne fanno pasticci così bislacchi, che uno uomo si domanda “se io son desto o se sogno alcuno vituperio”. Mai, se non mai la si farà a a Milano con così corti uomini. Que’ pochi buoni, costretti dal concorrere de’ moltissimi e malvagissimi e dalla ignoranza esterrefatta de’ spettatori, per vincer quelli si fanno da prima truculenti a bociare e poi pessimi a fare. E tutti congiuntivamente gridano in una vituperosa cagnara, e il cozzo de’ gomiti nuovi toglie ai costruttori di metter giusti e di piombare i mattoni e i simulacri de’ buoni dei.
    Rectos habuere deos! quelli antichissimi ebbono archipenzolo e sinopia certi a levar le sue torri, e retti cioè piombati gli dei. Noi abbiamo li dei nostri briachi dal vaniloquio, e andiamo a onde, che furono liberty, floreale, moderno, e sono ora il novecento e il razionale di certuni, che più tetra irragione non la potresti rinvenire in un mare di barbari inferociti o di femmine convulsive nell’aborto.
    Ma voglio chiudere con un esempio che non è razionale, ma è degno di mentovarlo per gloria de’ pitalieri, de’ salumai e degli elettrici e dice il buon gusto di quelli. Uno ricchissimo e nuovissimo barone della provincia nostra, che diligeva le arti, commise all’architetto di fargli un quanto potesse venusto castello, presso al lago dove si dice che il greco Julio si riducesse a insegnar Cristo a quelli subalpini pagani. Questo architetto, in riva del lago, e ne’ colli donde si vede rosato ne’ mattini quel ghiacciato monte, che sovra ogni altro sovrasta, verso il Sesia, gli fece un Alhambra finto, ovverossia dipinto come Alhambra su muri di capo mastro, e una torre, che può dirla un poco di Alhambra e un poco di Kremlino. E così quel barone grandissimo si vivette felice. Ma l’acqua dell’acquate cancella ne’ muri quel povero Eldoraduzzo e di Spagna dopo la mala copia non è per rimanere che un inutile desiderio. Sta invece il monte, come torre, contra il Ticino.
    Meglio è che i mercatori lombardi accudischino alle loro buone opere, generative di pane alle multitudini, ma l’Alhambra non lo faccino fare a loro cari capi mastri, che non gli lo possono fare se non con il culo

    Carlo Emilio Gadda, Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus, in Le bizze del capitano in congedo e altri racconti, Adelphi, Milano 1983, pp. 13-20.


    160 thoughts on “Li architetti sono anime più scempie di quelli

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Ricevi un avviso se ci sono nuovi commenti. Oppure iscriviti senza commentare.