Video, aironi e bici a scatto fisso

    Arriviamo da Marco Antonecchia e troviamo Emiliano ad aspettarci. La casa di Marco sembra un set pronto per Case da Abitare: pavimenti grigi, mobili neri, pareti bianche con appese molte opere di Marco, fotografie e pezzi sparsi di biciclette. Se non fossimo in uno degli anonimi palazzoni anni ’70 che caratterizzano Pescara direi che ci troviamo in un loft a Berlino o a Brooklyn.
    A classici del design, come la sedia Wassily di Marcel Breuer, si alternano curiosi oggetti vintage e inquietanti arredi di ambulatori medici.
    Marco ci rivela che molti degli arredi sono di recupero, trovati in varie parti della città, e poi rimessi a nuovo da lui stesso. Una delle cose più appariscenti è il grande esagono verde con al centro un disegno e sovrastato da due corna di cervo. È ciò che resta di una passata installazione a cui Marco ha dato una seconda vita trasformandola in una sorta di citofono: quando si suona il campanello di casa si illumina con una luce stroboscopica. Geniale, il più bel citofono che abbia mai visto.
    La conversazione è piacevole e rilassata, Marco ci mostra i tanti suoi lavori, con lui parliamo di video, musica, cinema e bici a scatto fisso, tutti argomenti che, nella sua vita personale e artistica, hanno un particolare rilievo.
    Ci lascia promettendoci in regalo una cinta personalizzata ricavata dai copertoni usati delle bici. Il momento si rivela umiliante quando dobbiamo misurarci il giro vita e scopriamo che a stento il metro arriva a chiudersi: maledetta dieta estiva a base di birra e gelato!

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    Ci descrivi come sei arrivato alla tua passione per l’arte?
    Ho fatto un percorso abbastanza classico: liceo artistico e, dopo un periodo di confusione di qualche mese,  iscrizione all’Accademia di Belle Arti. La decisione di iscrivermi è avvenuta mentre ero a Londra al festival di Reading e, proprio lì, con un amico decidemmo di iscriverci all’accademia di Belle Arti ad Urbino. Dopo il primo anno volevo già trasferirmi a Milano, capivo che sarebbe stato meglio.

    Perché, ti pesava la condizione del piccolo centro isolato?
    Urbino è una città chiusa ma il mio desiderio di andarmene era legato al mondo dell’accademia. Se devo essere sincero, credo che l’accademia non serva a molto. Credo sia positivo iniziare a farla in una città che non sia la tua, ma non credo sia essenziale finirla, e te lo dice uno che l’ha finita in quattro anni con 110 e lode.

    Forse dovevi fare tutto il percorso per poter arrivare a questa consapevolezza.
    Veramente ne ero consapevole già durante. Per me è stata comunque un’esperienza molto positiva perché a livello lavorativo mi ha dato un metodo.

    Raccontaci di questa tua vita urbinate…
    Era un delirio, hai presente quel film con Belushi, Animal House? Praticamente quattro anni ininterrotti di Animal House. E per fortuna ero abbastanza schivo rispetto a quel tipo di vita… altrimenti ora avresti dovuto rivolgerti ai miei cari per questa intervista. Era un ambiente molto coinvolgente, c’era uno scambio continuo con i professori e con alcuni artisti con i quali sono poi rimasto in contatto.

    Dopo Urbino?
    Ho fatto varie esperienze per poi tornare a Pescara. Ho iniziato a collaborare con il Museo laboratorio di Città Sant’Angelo diretto da Enzo De Leonibus. Credo faccia un lavoro molto coraggioso, contro tutto e contro tutti, ha una sensibilità che lo porta a relazionarsi in modo diverso con gli artisti. Ho anche collaborato con una galleria di Teramo, però avevamo delle divergenze che ci hanno portato a separarci.  Ho avuto dei rapporti sporadici con Cesare Manzo che mi ha coinvolto nelle mostre I Love Abruzzo, Ex Cofa e Abruzzo Index a Chieti. Con lui mi sono sempre divertito, credo sia l’unico a Pescara, nel bene e nel male, che porti avanti un discorso di sperimentazione. È una persona sanguigna, coraggiosa, che, al contrario di tanti altri, ti da un’opportunità.

    Parlando di espressione artistica, cosa ti piace sperimentare?
    Per tutto il periodo dell’accademia ho lavorato con la pittura. Acrilici, smalti, resine, lavori di grandi dimensioni legati a un immaginario pop influenzato molto dalle opere di Sigmar Polke. Tornato a Pescara ho continuato a disegnare ma presto mi sono liberato della pittura. Sentivo che mi stava stretta, era come se la bidimensionalità della tela non mi bastasse. Ho sperimentato prima la fotografia e poi il video, anche spinto da una grande curiosità per il cinema. Ho sempre passato ore e ore a cercare film, a informarmi attraverso mille fonti e tutt’ora, quando vedo un film, mi appunto titolo e regista su un quadernino, visto la pessima memoria. Ho calcolato che in un anno vedo circa 140-150 film, e tutti di un certo “spessore”… credo.
    Il passaggio al video è stato inevitabile, prima in una forma grezza e analogica, e ora, in una forma più cinematografica.  La maggior parte delle installazioni che ho fatto sono concepite con, e per, il video.

    Usi anche pellicole o lavori solo in digitale?
    Sono partito dalle MiniDV, quindi Standard Definition, il classico 720,  poi HDV 1440,  per arrivare, e mi trovo molto bene, al Full HD. Lavorando con le reflex posso cambiare obiettivi, c’è un rapporto più diretto, maneggevole, rispetto alla videocamera.

    Abbiamo notato che anche Emiliano, il nostro “gancio”, per girare il corto Apnea ha usato una reflex digitale, la Canon 5D.
    Emiliano e Gianluca Palma, un suo amico e collaboratore molto bravo che fa l’operatore, mi hanno fatto scoprire il mondo delle reflex. Me ne sono subito innamorato.

    Senti l’influenza del mezzo in quello che fai?
    Sì, la sento e, per alcune cose, ancora la subisco. Essendone molto affascinato, mi capita di cadere vittima di certi meccanismi. Rispetto ai primi lavori, in cui il mezzo non era affatto il fine, cerco di controllare con attenzione il lavoro perché ho paura che lo strumento possa prendere il sopravvento e che il linguaggio perda di coerenza.

    Quali sono le passioni che si intersecano nel tuo lavoro?
    Ci terrei a scindere la mia attività artistica dalle altre passioni, che per me sono importantissime, anche se è inevitabile che le cose vadano a intersecarsi e a interagire.
    Sono un amante di tutto ciò che è cultura che proviene dal basso, dalla strada. Mi affascina, soprattutto quando nella musica, nel cinema, nell’arte in generale, “alto” e “basso” si incontrano e si mescolano.

    La musica ha un ruolo nei tuoi lavori artistici?
    Ho sempre ascoltato musica e a volte faccio anche il dj. In realtà tecnicamente non ne capisco niente,  e forse nemmeno mi interessa, faccio più che altro selezione musicale in qualche locale. Pensa che per po’ ho lavorato anche come buttafuori…

    Buttafuori ?!? Scusa, ma a vederti sembri il contrario di un Rambo, in te si nasconde un letale maestro di arti marziali alla Chuck Norris?
    Affatto, non ho mai fatto a botte in vita mia, sono diplomatico e so come trattare la gente. Certo, quando non c’era modo di ragionare mi dovevo fare da parte e far intervenire altri.

    Per quale locale lavoravi?
    Per lo storico Codice a Bar, più che un locale uno sportello della ASL per i servizi sociali. Lì ho iniziato a fare prima il dj e poi il barman, cosa che mi dà tuttora lavoro.

    Suoni qualche strumento?
    Suono, ma non so una nota, eppure continuano a chiedermi di suonare il basso in un gruppo hardcore, dicono che ho l’attitudine… ma credo che, purtroppo, non basti.

    Torniamo alle tue passioni.
    Altra mia grande passione è la bici. Da quando avevo 17 anni ho sempre avuto bici da corsa, parliamo di livello amatoriale. Alcuni amici mi hanno fatto provare una bici da pista: all’inizio ero molto scettico, poi ci ho preso sempre più gusto e ora la adopero quotidianamente anche per lunghe uscite.

    Mi incuriosisce questa cultura che si sta affermando sempre di più in ambito urbano e che ruota fondamentalmente intorno all’oggetto bicicletta. Pensi che, in alcuni casi, stia diventando una semplice moda?
    Toglierei “in alcuni casi”. L’ultima volta che ho sentito parlare di mobilità sostenibile ero a una riunione qui a Pescara all’Aurum ed ero l’unico ad essere arrivato, e ad essermene andato, in bici. È una moda, ma ben venga, sempre meglio di quella dei SUV.
    Pescara, sotto questo aspetto, è una città totalmente alla moda: le stesse persone che vedi su una bici colorata con i cerchi arancioni le ritrovi poi a bordo di una macchina da 50.000 euro. Non mi va di giudicare, però la cosa mi lascia perplesso.

    I tuoi lavori video sono visibili online?
    A parte Fat Boy Slim non ho messo niente online. Non mi piace che il video, quando è legato a un luogo e a una precisa installazione artistica, sia fruibile online, potrebbe perdere di significato. Fat Boy Slim è un discorso più cinematografico, ha una forma di narrazione più lineare.

    È un tuo esperimento o l’hai realizzato per una mostra?
    Sono stato invitato a partecipare al Padiglione Accademia  per la Biennale di Venezia con un lavoro che si chiama SS5, che ho esposto al Festival d’Annunziano qui a Pescara. Si tratta di una casetta di legno con un airone in tassidermia sul tetto e un video che si può guardare attraverso una finestrella. Il problema è che in questa Biennale il trasporto è a carico dell’artista e così ho deciso di presentare questo video. È più facile trasportare per i canali di Venezia un cd piuttosto che una casa in legno con tanto di airone.

    Tra i tuoi progetti, qual è quello a cui tieni di più?
    Nessuno. Se proprio devo sceglierne uno, ti direi My best friend, il disegno di uno scheletro che ho fatto a casa su un vecchio divano in pelle. È stato un momento di rottura perché ero molto confuso su quali direzioni avrebbe preso il mio lavoro. Poi, un ragazzo, che viveva da anni a Berlino e conosceva gli altri miei lavori, l’ha visto mi ha detto che lì ero veramente io. È in quel momento che ho preso coscienza di quello che potevo fare.

    Quando cerchi ispirazione cosa fai?
    Ascolto musica, vado in bicicletta, vedo posti nuovi. Il massimo è quando le tre cose si combinano.

    Consigliaci un sito.
    Consiglierei Pescara Fixed, un blog che ho messo su con altri amici, dove ci sono appuntamenti, informazioni, video legati alla cultura della bici; poi Trackosaurus Rex; Google Earth, ci passerei le ore, e, per finire, Vimeo, un’ottima banca dati di qualità.

    Una rivista?
    L’unica che compro è Flash Art, ma non la consiglierei al mio peggior nemico.

    Un libro?
    Mi piacciono molto Ballard e Palahniuk. Se, invece,  devo citare un libro, direi Storia Generale Dei Pirati di Capitano Johnson, in realtà non è un libro di narrativa ma una raccolta di informazioni, anche tecniche, noiosissime.

    Come ti è capitato tra le mani?
    Devo ammettere che per il cinema ho gusti molto precisi e selettivi ma quando si tratta di pirati posso subire qualsiasi tipo di monnezza. Impazzisco per pirati, Hitler e sottomarini. Lungi da me quel tipo di cultura, anzi…, ma quando vedo filmati d’epoca rimango catturato: sarà la grana, la pellicola, non lo so spiegare bene…

    Guardi la televisione?
    Molto poco, infatti la scritta sulla televisione (I hate you and you hate me) lo dimostra. La frase credo sia di GG Allin.

    Film?
    Più che un film ti posso dire quali sono le cose che mi hanno influenzato di più ultimamente: i documentari di Herzog, tutta la filmografia di un genio assoluto qual è Harmony Korine, i lavori di Wes Anderson, tutta la filmografia di Tsai Ming-liang, Nicolas Winding Refn, Bruno Dumont e tanti altri che a dirteli tutti potremmo far notte…

    Ci sono registi italiani che ti piacciono?
    Pochi: Crialese e Garrone.

    Nell’ambito della video arte cosa ci consiglieresti?
    Mi piace molto Marc Bijl anche se lavora con molti media, non solo con il video.

    La città in cui vivresti?
    Trieste, perché non ci sono mai stato.

    Musica?
    Ascolto un po’ di tutto, anche se ho una predilezione per il noise-rock anni ’90 con cui sono cresciuto. Mi piacciono tutti i gruppi dell’Amphetamine Reptile Records: su tutti, i Melvins.

    Quali sono le qualità che servono per fare il tuo lavoro, quali possiedi e quali vorresti avere?
    La cosa fondamentale è non andare mai in un ufficio di collocamento… Non so dirti quali qualità ho, non è modestia, forse dovresti chiederlo a mia madre… In compenso sono molti gli aspetti di me che non mi piacciono: non ho fiducia nel mio lavoro e in me stesso, sono molto pigro, non sono determinato nel volere qualcosa. Forse, in realtà, voglio tante cose, ma piccole, e quindi riesco anche a ottenerle. Non sono ambizioso, non lo sono mai stato, e te lo dico con rammarico.

    Cosa ti piacerebbe trovare nel tuo futuro?
    Sinceramente non ci penso molto. Se devo paragonare la vita a un film, non ho capacità registiche, non riesco a vedere la globalità, riesco a vedere singole scene, alcune inquadrature.

    Una preoccupazione?
    Ci sono periodi in cui ne ho tante, una su tutte, morire prima di uno sbarco alieno, prima che sulla terra avvenga qualcosa di radicale…

    Credi negli alieni?
    Forse, ma non mi pongo il problema, non mi chiedo cosa sia vero o falso. Di una storia mi affascina il lato romantico, se provo empatia per una notizia mi basta. Credo che il prossimo lavoro sarà sulle storie che mi racconta un amico su un complotto che vede coinvolti  Marco Pantani, George Clooney e massoneria occulta, ora non ve lo posso spiegare ma presto capirai…

    Ci fai il nome di amici o colleghi che vuoi farci conoscere?
    Tre nomi su tutti: Palmiro Masciarelli, Bruno Marano, e Adalgiso Bevilacqua, tutti ciclisti d’altri tempi, ogni volta raccontano delle storie incredibili; molte delle persone che avete già intervistato le avrei citate, di nuovi vi direi Matteo Fato, artista giovane che opera in maniera costante su tutto il territorio italiano, conosce bene il sistema dell’arte ed è bravo; Paride Petrei, altro artista interessante; Claudia Ferri, fotografa, molte delle foto che vedete in questa casa sono sue; Manuela Barbi, artista con una sensibilità unica e personale; Mario Presidente e Alessandro Gabini, ex Giovanna D’Hardcore. Sono tutti artisti che fanno lavori anche distanti dal mio gusto personale ma che reputo bravi, validi e, soprattutto, di animo bello. Per finire, citerei Enzo De Leonibus, artista e direttore del Museo Laboratorio di Città Sant’Angelo.

    slideshow su flickr


    22 thoughts on “Video, aironi e bici a scatto fisso

    1. …con quel dispenser…lavare i piatti sarà un momento di una sacralità unica…degno del miglior NO!DESIGN

      come al solito, gran bel servizio e gran bel soggetto

      1. Marco ci ha rivelato che ARM in realtà è un acronimo, ma funziona bene anche come promemoria.
        Le frecce, invece, le usa quando va in bici per segnalare la svolta…

    2. … nelle ultime interviste ci sono un tripudio di bici fighissime, di “arte che parte” dalla strada, va in “accademia” e poi torna con prepotenza a consumare copertoni in strada. a pescara arrivano i frutti di anni di cultura straight edge che si mischia al minimalismo spinto delle scelte estetiche … a me sembra un buon momento. lunga vita anche a marco …

      1. mi sembra che il minimalismo non sia solo una scelta estetica ma esistenziale: qui tutti puntano alle cose essenziali, fondamentali e fondative.

      2. Magari fossi stato straight adge, ora sarei alto, biondo e muscoloso ed invece basso, grigio e secco…. un alieno.
        ancora complimenti a Giangi e Pippo per l’ottimo lavoro che portano avanti, soprattutto alla giusta attitudine che li spinge alla ricerca.

        1. gli alieni sono quelli alti biondi e muscolosi…
          un grazie a te per esserti prestato a questo gioco.

          ps. si può aggiungere una tacca alla cinta?

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